Giorni fa è venuta a visitare la Grotta del Vento una signora di San Giovanni alla Vena, un paesino del lungomonte pisano dove gestisce il ristorante pizzeria Chez Mes Amis. Parlando delle grotte che si aprono numerose in tutta la fascia pedemontana situata tra San Giuliano Terme e Vicopisano, le ho raccontato questo singolare episodio da me vissuto oltre 50 anni fa.
Avevo fondato da poco assieme ad alcuni amici il Gruppo Speleologico Lucchese del C.A.I. che, all’inizio della propria esistenza, svolgeva la sua attività soprattutto nelle numerose grotte, quasi tutte di limitate dimensioni, situate nei pressi di Lucca e nelle “isole” calcaree del Monte Pisano.
Dalla zona di Caprona avevamo avuto segnalazione di un pozzo naturale, situato nei pressi di una casa colonica, il cui imbocco, situato sul margine della collina, si apriva ad una quota che superava di poco il livello della pianura. Facendoci strada tra cespugli di rovi e di ginestre, individuammo ben presto l’imbocco imbutiforme. Pochi metri di facile discesa e ci trovammo su una piccola piattaforma sotto la quale la cavità scompariva sott’acqua. Puntando il fascio delle torce verso il basso si vedeva chiaramente che l’acqua era molto profonda e che l’ambiente sembrava aprirsi a cupola sotto di noi.
Nel nostro gruppo nessuno aveva dimestichezza con le immersioni e in Toscana la speleologia subacquea era ancora di là da venire. Ci rivolgemmo pertanto a due amici che da anni praticavano la pesca subacquea a livello agonistico. Uno di questi, Luciano Galli era campione italiano della specialità, l’altro, Lamberto Favilla, aveva maturato una grande esperienza praticando da molti anni questa disciplina assieme al Galli. I due accettarono con entusiasmo l’invito e pochi giorni più tardi, attrezzati di tutto punto, si immersero nell’oscurità del pozzo. Poco prima ci avevano chiesto speranzosi quali pesci avrebbero potuto incontrare sottoterra, ed erano rimasti delusi nell’apprendere che nelle grotte europee questi animali non erano mai stati segnalati.
Pochi minuti dopo l’inizio dell’immersione riemersero eccitatissimi, annunciandoci di avere individuato degli strani pesci di colore bianco. Euforici per l’eccezionale scoperta, chiedemmo subito se questi pesci avevano gli occhi, poiché di norma, gli animali che vivono nelle grotte, detti “troglobi”, ne sono privi in quanto, in mancanza di luce, l’organo visivo non avrebbe alcun motivo di esistere. Apprendemmo con un certo disappunto che gli occhi li avevano, eccome!
La scoperta era comunque interessante, poiché, pensavamo, evidentemente si trattava di “troglofili” di una specie sconosciuta, animali di grotta non ancora completamente adattati all’ambiente sotterraneo.
La delusione arrivò ben presto, quando un contadino che abitava nella vicina casa colonica, incuriosito dal nostro andirivieni e dalle attrezzature subacquee, si avvicinò chiedendoci: “avete mica trovato i miei pesci rossi? Qualche anno fa li ho gettati nella buca perché mi ero stancato di cambiargli l’acqua e di dargli da mangiare”.
Non erano quindi “troglobi” e neppure “troglofili” ma semplicemente pesci rossi acquistati alla fiera paesana che dopo tre anni in grotta si erano “sbiaditi” per mancanza di luce, e forse per il nutrimento anomalo, costituito da rifiuti che ogni tanto qualcuno gettava nel pozzo. Interessante comunque la depigmentazione quasi totale che si era sviluppata in appena tre anni, segno evidente che l’adattamento alle nuove condizioni ambientali può essere più veloce di quanto si possa pensare.
Ma le sorprese non erano ancora finite: abbandonata l’illusione della scoperta biologica del secolo, i due subacquei si allontanarono maggiormente dalla luce del sole, scoprendo un vasto ambiente sommerso ricchissimo di concrezioni calcaree che si spingeva fin sotto il livello del mare. Dal soffitto pendevano selve di snelle stalattiti, mentre dal pavimento si innalzavano tozze stalagmiti con l’apice ogivale o semisferico.
Ma cosa ci facevano le stalattiti e le stalagmiti in un ambiente sommerso? Queste concrezioni sono generate dalla caduta delle gocce, e le gocce, sott’acqua, non ci sono! Evidentemente si erano formate quando l’acqua non c’era, in un periodo in cui il livello del mare, e quindi la falda freatica, erano molto più bassi, probabilmente durante l’ultima glaciazione, quando buona parte delle acque terrestri si trovavano allo stato solido di ghiaccio sulle terre emerse. La sommersione era quindi avvenuta dopo la loro formazione, in seguito all’innalzamento dei mari dovuto allo scioglimento dei ghiacciai e alla riduzione delle calotte polari.
Infine un altro particolare curioso: in una delle tante risalite i due sub affermarono di avere individuato una zona in cui le stalagmiti, anziché essere tozze e ogivali, erano snelle ed aguzze come le stalattiti. Vincendo la mia atavica avversione al danneggiamento delle concrezioni, li invitai a portarmene una. Vidi subito che si trattava di una normale stalattite, con tanto di meato d’alimentazione. Ma che ci faceva là sotto, a punta in su, assieme a tante altre? Tornando sul posto, i due sub notarono che in quel punto il soffitto era privo di stalattiti. Evidentemente un lembo della volta si era staccato dalla massa rocciosa. Frenato dall’acqua si era capovolto, posandosi dolcemente sul pavimento con tutte le punte rivolte in su. In assenza dell’acqua la caduta sarebbe stata molto più veloce e tutte le stalattiti sarebbero finite in briciole. Anche la lastra rocciosa sulla quale erano cresciute si sarebbe spezzata in più parti.
Da allora non sono più tornato in quel luogo e, a distanza di cinquant’anni no so se riuscirei a ritrovare la cavità sommersa. Sarà ancora raggiungibile? Sarà stata murata o riempita per evitare che qualcuno possa precipitarvi? Ci avranno costruito sopra degli edifici?
Sarà opportuno andare a vedere, chiedere informazioni sul luogo, sempre ammesso che qualcuno ricordi qualcosa. Se non altro per vedere se la colonia dei pesci sbiaditi si è riprodotta sopravvivendo fino ai nostri giorni; ed anche per verificare le ulteriori modifiche che questi animali potrebbero aver subito dopo mezzo secolo di permanenza nel sottosuolo.
I due pescatori subacquei, nello stesso periodo, esplorarono anche il lago sotterraneo della Grotta dei Ladri di Agnano (uno dei più grandi della Toscana), dove raggiunsero la profondità di 14 metri. In un’altra piccola grotta situata nei pressi, si immersero in un laghetto di acqua minerale “naturalmente frizzante”, con tante bollicine di anidride carbonica che, secondo quanto ci riferirono, investendoli dal basso in gran quantità, provocavano un curioso senso di solletico.
Vittorio Verole-Bozzello