.
Quando nel 1964 discesi per la prima volta nella zona dell’Acheronte, oggi punto focale del 2° itinerario, sapevo di essere stato preceduto solo dagli speleologi di Bologna, che avevano esplorato buona parte della grotta tre anni prima, nel 1961.
Ciò che venni a sapere l’anno successivo mi sorprese non poco. Tra gli operai che reclutai sul posto per i primi lavori di valorizzazione turistica c’era un certo Carli Primasio, detto Primo, un minatore che fino a una decina di anni prima aveva lavorato nella vicina miniera di Trimpello per conto di una società mineraria di Roma.
Mi raccontò che attorno al 1934, assieme ad un gruppo di minatori di Fornovolasco, tutti incuriositi dalle esplorazioni solitarie di uno speleologo fiorentino, entrò a più riprese nella Grotta del Vento, arrestandosi però sull’orlo di un pozzo verticale inviolato dal cui fondo proveniva il rumore di un corso d’acqua sotterraneo.
Essendo minatori erano abituati a stare sottoterra e non venivano influenzati dalle leggende e dalle superstizioni che a quei tempi ancora aleggiavano sul mondo delle grotte. Decisi a continuare l’esplorazione chiesero in prestito al parroco di Fornovolasco le corde delle campane e con esse si calarono nel pozzo alla luce delle lampade ad acetilene che usavano in miniera. Un’impresa quasi epica se si considera la difficoltà di scendere una verticale di venti metri col solo ausilio di una corda e con una luce così scarsa.
Eppure nel Salone dell’Acheronte ci arrivarono, ed il racconto di Primo fu avvalorato da Giuseppe Bertozzi, detto Beppone, che faceva parte del gruppo. Anche la sua descrizione del vasto ambiente sotterraneo collimava con quanto avevo visto di persona.
Secondo entrambi però, la grotta terminava nella parte più bassa del salone, in un punto in cui l’acqua scompariva tra la sabbia del fondo ed una parete rocciosa. Quando scesi io nel 1964 l’acqua spariva ancora nello stesso modo, ma almeno 50 metri più avanti, dopo aver percorso un’ampia galleria e attraversato un’altra sala (Sala del Cupolone). E nel Salone dell’Acheronte di sabbia non ce n’era.
Le spiegazioni possono essere due: o il gruppo dei minatori alla luce debolissima dell’actilene aveva scambiato il Salone dell’Acheronte, la galleria successiva e la Sala del Cupolone per un unico vano terminale, oppure l’ultima parte di questa successione in quel periodo era piena di sabbia e ghiaia portati da qualche grande alluvione. Qualcosa di simile accadde nel 1996, in occasione delle piogge catastrofiche che il 19 giugno 1996 portarono lutti e distruzione a Fornovolasco ed a Cardoso.
È pure possibile che a distanza di trent’anni i dettagli dell’impresa fossero sfumati nell’oblio.
Al di là del racconto orale, di questa coraggiosa impresa non esiste purtroppo alcuna relazione scritta. Si ha però la certezza che i primi a raggiungere il fondo della grotta non sono stati gli speleologi di Firenze, di Bologna o di Lucca, ma i coraggiosi minatori di Fornovolasco.